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Riflessi di natura umana e divina (pt.2)

Carl Gustav Jung affermava non esistere possibilità di guarigione in assenza della fede in Dio; nella Bhagavad-Gita, Arjuna supera la sua profonda crisi esistenziale e affronta il suo destino di kshatriya – principe il cui dovere lo richiama a proteggere gli indifesi e più deboli combattendo gli usurpatori del potere – affidandosi a Dio quando scende in quel campo che è la metafora della battaglia della vita.
Nel testo di studio “La Psicologia della Bhagavad-Gita” (Edizioni CSB – Corsi in Scienze Tradizionali dell’India), Marco Ferrini spiega: […] D’abitudine, in Occidente la psicologia esclude a priori lo studio del sé spirituale ed eterno e si limita allo studio della struttura mentale e dei suoi riflessi su quella fisica. Ma la psicologia nasce storicamente come scienza dell’anima, atmavidya, e come tale non può trascurare la componente di base di ciascun individuo, che è appunto di natura spirituale. Potremmo paragonare la morte a un immenso poliedro con infinite sfaccettature; alcuni ne conoscono solo alcune, altri di più, altri di più ancora. Chi si prepara ad affrontarla in modo sereno, la vede come un evento per così dire inconsistente, per quanto tale aggettivo possa apparire paradossale. Grandi saggi, filosofi e mistici delle varie tradizioni religiose di tutti i tempi hanno risolto questo problema, consapevoli che, fin quando sui fondali dell’io continua ad agitarsi la paura della morte, conscia o inconscia che sia, la serenità resta solo una chimera. […]

Rispetto a questa paura ancestrale, troviamo conforto nelle parole di Shri Krishna – Dio in persona – rivolte ad Arjuna:
“Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. La persona saggia non è turbata da questo cambiamento”. Bhagavad-Gita II,13.

La consapevolezza stessa nel percepirsi come eterni e riconoscendo che le varie esistenze, nelle diverse condizioni, sono semplicemente tappe nel viaggio infinito della vita, porta a considerare la vita stessa e il mondo in modo costruttivo, scegliendo di improntare la nostra esistenza verso una progettualità di evoluzione spirituale, con la consapevolezza che: “L’anima non nasce, né mai muore, non ha mai cominciato ad esistere, ne cesserà di esistere; non nato, eterno, perenne, questo antico spirito immortale, che pervade il corpo - l’atman - non è ucciso quando il corpo viene ucciso”. Bhagavad-Gita II,20.

“L’anima individuale è indivisibile e insolubile; non può essere seccata né bruciata. E’ immortale, onnipresente, inalterabile, inamovibile ed eternamente la stessa.” - “E’ detto che l’anima è invisibile, inconcepibile, immutabile. Sapendo ciò, non dovresti lamentarti per il corpo.” Bhagavad-gita, II, 24-25:
Victor Hugo (1802 – 1885) “Non la carne è reale, ma l’anima. La carne è cenere. L’anima è fiamma.”
La scienza positivista non può comprovare la veridicità di tali affermazioni e non può dimostrare il contrario. Ognuno di noi, invece, può sperimentare i benefici della sapienza millenaria Indovedica, studiandola e praticandone gli insegnamenti, così come gli uomini e le donne della Tradizione ci indicano e offrono con il loro modello di vita. Il Maestro Marco Ferrini ne è la testimonianza vivente a cui potersi ispirare.

Ritornando all’esempio di poesia di Lamartine e studiando le sue opere più tarde, si nota come egli stesso abbia trasformato il linguaggio e l’approccio alla vita, elaborando gravi lutti tra cui la tragica morte della figlioletta. L’artista consapevole del suo dono è capace di narrare e dipingere i propri sentimenti, le emozioni, le dicotomie profonde che lacerano l’essere umano e rappresentarli attraverso simboli e personaggi in una continua ricerca di soluzioni alle problematiche esistenziali. Solo quando questi grandi autori smettono di combattere contro ciò che non possono cambiare e si concentrano su ciò che possono cambiare, divengono messaggeri del linguaggio divino, lasciandoci in eredità opere dal valore immenso, perché racchiudono l’essenza dell’esperienza umana, in cui l’uomo giunge a trascendere se stesso e diventa consapevole della propria anima in relazione con Dio, origine e fonte della vita.

Lamartine stesso ha trovato nel divino la realizzazione ultima della sua sensibilità di poeta, pervenendo a Lui lungo il suo tormentato cammino alla ricerca dell’Amore autentico, dopo aver sperimentato quell’amore terreno che è una tappa verso il sentimento infinito per Dio. La bellezza della natura e lo spettacolo del creato evocano le glorie divine e, nonostante i tratti di disperazione e la paura della morte, giunge finalmente ad affidarsi a Dio e all’ordine cosmico – il Dharma – con nuovo vigore e speranza:

Benedizione di Dio nella solitudine (Alphonse de Lamartine, 1830)

Donde mi viene, o Dio, questa pace che m’inonda?
Donde viene questa fede che nel mio cuore abbonda?
A me che sono sempre così incerto e turbato,
E sui flutti del dubbio da ogni vento agitato,
Cercavo il bene, il vero, nei sogni dei sapienti,
E la pace nei cuori immersi nei tormenti.
Sulla mia fronte appena qualche giorno è trascorso,
E a me sembra che un secolo, che un mondo sia scorso;
E che separato da essi da un abisso immenso,
Un uomo nuovo in me sia nato, questo ora penso.


Parole in cui vedo riflesso il mio graduale processo di trasformazione, che dalle letture iniziali di Lamartine è passato alla rivelazione della conoscenza dei Veda; studiare gli aspetti psicologici, filosofici, spirituali delle sacre scritture dell’India classica portano a vivere un’autentica esperienza interiore, grazie ad insegnamenti capaci di rispondere ai più sottili interrogativi dell’uomo e della donna contemporanei.
L’opera di sistematizzazione e commentario di Marco Ferrini sono un monumento alla Tradizione e a una spiritualità universale che orienta ogni ricercatore della verità ultima. La saggezza e la mistica d’Oriente hanno molto da dirci, anche se parlano una lingua a noi non sempre comprensibile. Per questo è necessaria l’esperienza di un Maestro in vita, qual è Marco Ferrini che ci guida in un apprendimento graduale sino a ricordarci ciò che abbiamo dimenticato, vale a dire la nostra autentica natura: atman, l’anima e quell’Amore divino (bhakti), che è l’obiettivo più elevato che l’individuo possa conseguire nel suo processo di evoluzione interiore in questa esistenza incarnata.

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