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Emozione Estetica nell’Arte

In molti scritti d’arte, si è fatto spesso riferimento a termini come emozione e sentimento, utilizzati per descrivere il contenuto e la funzione dell’attività artistica. Lo stato emotivo suscitato da un opera d’arte, sia durante la sua fruizione, sia durante la sua produzione, viene definito, come è sottolineato dalle teorie estetiche contemporanee, emozione estetica e si riferisce ad un sentimento che si prova innanzi alla contemplazione della bellezza e dell’armonia che sono elementi solitamente peculiari di un’opera d’arte. Secondo alcuni studi in scienze umanistiche, l’arte costituisce un ambito particolarmente adatto per investigare le emozioni, perché ha il merito di rendere più esplicite le intuizioni umane, riuscendo a cogliere in modo più immediato la natura del fenomeno emotivo.
Dagli anni cinquanta, gli studi di Rudolf Arnheim (uno storico dell'arte e psicologo tedesco), hanno contribuito a diffondere l’idea che l’emozione è connessa all’arte non per il suo contenuto immediatamente percepibile, quanto piuttosto perché essa presenta immagini e concetti come forme che hanno la capacità di trasmettere “qualcos’altro”.
Nei primi decenni del secolo scorso Lev Vygotskij, che per l'originalità delle sue opere fu chiamato il "Mozart della psicologia", offre degli spunti interessanti proprio a partire dall’esperienza estetica: il processo artistico, insieme alla “metamorfosi del materiale dell’opera”, produce anche una “metamorfosi dei sentimenti”. In altre parole, l’emozione estetica scaturisce dal superamento di barriere costituite da pensiero coatto e dall’ottenere di penetrare in certe realtà che sono, letteralmente, “ineffabili”. Il “piacere estetico”, allora, è affine, benché non identico, alla soddisfazione di scoprire la realtà oltre il visibile.
Secondo le grandi tradizioni, l’arte non si riduce ad un’esperienza estetica o psicologica; al contrario, essa comporta quella che Platone e Aristotele chiamano katharsis, ovvero una “vittoria sulle sensazioni di piacere o di dolore”. Platone affermava che mentre la passione suscitata da una composizione di suoni “procura un piacere dei sensi agli insipienti, essa (la composizione) procura agli intelligenti la letizia dell’armonia divina.
Per Aristotele la katharsis non è uno sfogo periodico delle nostre emozioni represse, immergendosi nelle quali ce ne può liberare; tale sfogo produce solo un appagamento temporaneo. La sua katharsis è un'estasi o una liberazione dell'anima immortale, e tale concetto si avvicina a quello che spesso troviamo nei testi della tradizione Vedica, secondo i quali la liberazione si compie attraverso un processo in cui una performance artistica diventa un rito sacrificale, e lo scopo di questo rito è di sacrificare l'uomo “vecchio” e di farne nascere uno “nuovo”, trasformato. L’io psichico gode delle superficie estetiche degli oggetti naturali o artificiali, a cui è affine; il sé spirituale gode della loro origine. Lo spirito è molto più esigente e sensibile; trova gusto non tanto nelle qualità fisiche delle cose, ma in quel loro elemento ch’è chiamato fragranza o sapore: per esempio, “nell'immagine che non risiede nei colori”, o nella “musica non udita”.
La “tranquillità d’animo” di Platone è quella “beatitudine” che la retorica indiana scorge nella “degustazione del sapore” di un’opera d’arte, un’esperienza immediata e congenere “all’assaporamento di Dio”. Secondo il Natya Shastra, il più antico trattato d’arte, drammaturgia e danza, considerato dalla tradizione indiana il “quinto Veda”, lo scopo dell’arte non consiste nella bellezza in sé ma nell’abilità di evocare gli stati più elevati dell’essere. L’arte utilizza la materia, per poi trascenderla; per esempio, peculiarità della danza, come della scultura, è l’uso del corpo; tuttavia il loro scopo comune è quello di creare la sensazione che danza o bellezza sono al di là di esso. Nella scultura indiana per esempio non si pone un accento eccessivo sulla raffigurazione anatomica del corpo e quindi sulla muscolatura come avviene nell’arte greca, ma si dà maggiore enfasi all’armonia della posa, in modo tale che l’attenzione dello spettatore non si arresti alla mera fisicità ma colga il messaggio di una verità sottile che si cela dietro l'immagine stessa.
L'Arte, dunque, nella sua forma naturale si configura come una tecnica creativa (karmamudra) in grado di sviluppare una reale conoscenza di sé (jnanamudra). L'approccio creativo alla vita scaturisce dal bisogno spirituale di conoscere Dio e, per riflesso, la nostra controparte divina.