TRA IMMANENZA E TRASCENDENZA
(riflessioni ed appunti dai seminari di Marco Ferrini)
“Noi non siamo spiritelli astratti”, ripete spesso il Maestro Marco Ferrini, richiamandoci con questa espressione all’importanza di compiere al meglio i doveri che, per il nostro combinato disposto di guna-karma, ci sono prescritti e ad assumerci le responsabilità che ci competono.
Altrettanto spesso, citando le parole del Vangelo, ci ricorda che “non di solo pane vive l’uomo”, esortandoci, nel compimento dei nostri doveri, a mantenere sempre viva in noi la consapevolezza della nostra natura spirituale e a rimanere collegati a quella dimensione ulteriore cui ontologicamente apparteniamo, l’unica esente da ansietà, paura e turbamento.
Vivere autenticamente nello spirito della bhakti, ci ricorda, non significa estraniarsi dal mondo e rifugiarsi in una realtà astratta ed ovattata al riparo da tutti i mali, bensì implica operare in esso al meglio delle nostre possibilità, come portatori di una visione rinnovata e testimoni dell’unica rivoluzione che può davvero trasformare il mondo e le coscienze: quella del risveglio alla consapevolezza della nostra eternità.
La perfezione non si raggiunge rinunciando all’azione e abbandonando il mondo proprio perché l’uomo, per sua natura, non può sottrarsi dall’agire neanche per un istante (Bhagavad-Gita III, 5).
Come possiamo, quindi, avere accesso alla dimensione trascendente pur vivendo nell’immanenza?
Lo insegna magistralmente Krishna ad Arjuna in particolar modo nei primi capitoli della Bhagavad-gita: superando, anzitutto, una visione egoica della vita e rendendo sacro il nostro agire attraverso l’attitudine interiore dell’offerta.
“Tu hai diritto di compiere i doveri che ti spettano, ma non di godere dei frutti dell’azione. Non considerarti mai la causa dei risultati dell’azione e non cercare di sfuggire al tuo dovere” (II, 47).
Ricordo che, quando circa quattro anni fa studiai per la prima volta la Bhagavad-gita in occasione del percorso intrapreso presso il Centro Studi Bhaktivedanta, rimasi letteralmente “folgorata” da questo insegnamento: ebbi sin da subito la chiara percezione che un nuovo mondo, sino ad allora solo in apparenza sconosciuto, si stava dischiudendo in me e sentivo nitidamente che questa Conoscenza avrebbe trasformato radicalmente la mia vita. Percepivo di avere finalmente ritrovato qualcosa di molto prezioso che mi apparteneva profondamente ma che, chissà per quali ragioni, avevo smarrito.
Farne esperienza negli anni successivi ha davvero rivoluzionato il mio modo di agire, offrendomi un modello autentico a cui ispirarmi e fare riferimento.
Ho realizzato quanto l’attaccamento ai risultati dell’azione, o la paura del fallimento rispetto ad essi, ottunde e contamina la coscienza, rendendoci schiavi dell’ego ed inducendoci magari ad agire fuori dal dharma pur di raggiungere lo scopo prefissato o di evitare conseguenze non gradite che minano la nostra zona di comfort.
Porre, invece, l’attenzione sul compiere al meglio i doveri prescritti, assicurandoci di essere nel dharma, e coltivare interiormente quel salvifico distacco rispetto ai frutti del nostro agire, purifica ed eleva gradualmente il campo coscienziale, conferisce la vera libertà e quella forza spirituale indispensabile per affrontare con coerenza le prove che la vita incarnata ci presenta.
E che dire quando riusciamo a fare un passo ulteriore: rendere sacro il nostro agire, offrendolo con amore e devozione a Dio in un progetto di vita funzionale alla nostra realizzazione spirituale (Bhagavad-gita III, 9).
Il nostro desiderare, pensare ed agire diviene così un vero e proprio yajna, atto sacrificale, che ci collega potentemente alla Realtà: non da intendersi, come per i più, privazione o martirio, bensì uno spontaneo darsi, un consacrare sé stessi a conoscere Dio e a riscoprire la nostra eterna relazione d’amore con Lui.
Solo l’azione scevra da motivazioni egoiche e compiuta in puro spirito d’offerta, come è spiegato nel testo di studio “psicologia della Bhagavad- gita”, non produce effetti karmici e diviene mezzo spirituale per evolvere e liberarci dalla sofferenza.
Così operando nel mondo, la nostra parte di terra si armonizza con quella di cielo, umano e divino possono convivere in una prospettiva evolutiva; farsi riscaldare il cuore da questa visione salvifica ci garantirà il vero successo in questa vita stessa, conservandone i benefici anche nelle prossime.
Pamela Dal Maso