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La Catarsi nell’Opera Teatrale

Prender, sì, da queste cose qui in terra belle;
ma avere in ogni istante,per suprema meta quella Bellezza assoluta, e salire su.
E sarà come per gradini di una scala ascendenti.
(Platone, Il Convivio)

Cosa succede nel momento magico in cui un attore teatrale dà vita ad un personaggio? Per secoli i grandi poeti, filosofi e artisti hanno indagato questo misterioso fenomeno da più prospettive: psicologica, filosofica, estetica, spirituale.

L’arte, per Aristotele costituisce una forma di conoscenza che ricrea le cose secondo una nuova dimensione. Nel periodo classico la tragedia aveva per effetto la catarsi (dal greco kátharsis, purificazione). L’azione tragica proponeva una vicenda verosimile ad una condizione del vivere comune. Il susseguirsi di queste azioni era mirato alla risoluzione delle vicende messe in scena, e portava l’animo dello spettatore prima a indagare nel proprio io alla ricerca delle fragilità interiori, poi a liberarsi da questa condizione emotiva di disagio attraverso il fenomeno della catarsi. La Poetica di Aristotele individua la catarsi come il liberatorio distacco dalle passioni rappresentate nell’opera letteraria, distacco che interviene nel momento in cui si coglie la ragione celata negli eventi. La tragedia, rappresentando (imitando) fatti gravi, luttuosi, suscita forti emozioni quali “pietà e terrore” ed ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni.

La catarsi trova, nella trattazione di Aristotele, una forma di applicazione generale tra le regole della sua estetica, poiché definisce scopo ed effetti dell’arte. Platone utilizza questo termine per indicare la liberazione dal corpo per opera della morte, vista come ritorno dell’anima alla perfezione dopo la costrizione limitante vissuta nella materia. In senso più ampio, Platone intende per “catarsi” un processo conoscitivo attraverso il quale ci si libererebbe dalle impurità per tornare ad uno stato di purezza originaria.

Sigmund Freud, riprendendo il significato aristotelico, aveva introdotto il termine abreazione come processo terapeutico in cui si realizza una purificazione, una scarica emotiva degli affetti patogeni. La cura consentirebbe al soggetto di rievocare e perfino di rivivere gli eventi traumatici ai quali sono legati questi affetti e di elaborarli. Freud si rese conto che ciò che agiva terapeuticamente nel metodo catartico non era semplicemente la possibilità di rappresentare il fatto penoso obliato attraverso il ricordo, bensì il rivivere il ricordo nell’ambito di una relazione di transfert che, in quanto comporta affetti, implica una mescolanza “di energia e di significazione”. Il transfert contiene la situazione teatrica, nel senso che l’affetto per una persona trasforma la persona in qualcuno che sta al posto di un personaggio.

Nel 1921 Sandor Ferenczi, un allievo di Freud, indica nella “tecnica attiva” un intervento dinamico nel quale al paziente vengono assegnati ruoli e compiti, anticipando la tecnica psicodrammatica. Jacob L. Moreno affidò la funzione di abreazione alla drammatizzazione introducendo l’idea che la catarsi avviene nell’attore che è impegnato nella rievocazione, oltre che nello spettatore. Recitando situazioni passate, presenti o future-immaginarie della propria vita, i conflitti e le pulsioni possono essere esperiti in maniera intensa ed affettivamente coinvolgente. Più recentemente all’interno di paradigma delle Arti-terapie, la prospettiva della drammaterapia (o teatroterapia) propone una concezione della catarsi che integra ed estende tali riflessioni.